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Così parlò papà Enzo ucciso dall’ingiustizia

Morì il 18 maggio 1988, per un tumore causato dallo stress per la persecuzione subita.

di Silvia Tortora

Il 18 maggio 1988, a Milano, moriva mio padre, Enzo Tortora. Ucciso dal cancro e da una malattia ancor più grave, l?ingiustizia. Per anni ho cercato di farmi una ragione sul perché e sul percome fosse capitata proprio a lui una sorte così. Confesso che non l?ho capito e dubito che mai lo capirò. Quel che più d?ogni altra cosa mi tormenta è il fatto che ancora oggi a Enzo Tortora, e indirettamente anche a me, sia negata verità e giustizia. Mio padre mi manca molto. E non solo perché ho avuto poco tempo per conoscerlo (è morto a 59 anni), ma perché credo sia stato un uomo onesto. Contraddittorio, magari non facile, ma onesto. Anche intellettualmente. Con lui mi lega un rapporto molto particolare. Credo di avere il suo stesso carattere, le stesse diffidenze, le stesse spigolosità. Ho imparato a conoscere Enzo Tortora in carcere. E in questo momento difficile per lui, e per me che avevo vent?anni, ho imparato a scrivere. Mio padre scriveva moltissimo. E bene.
Tra noi c?è stato un intensissimo scambio di lettere per anni, quasi fino alla fine. Alcune di queste lettere finirono per comporre quasi una grammatica amorosa, che rappresenta solo una parte di quello che diventò il mio rapporto con mio padre e con il mondo della giustizia in Italia. Dopo che Enzo Tortora morì migliaia di detenuti italiani cominciarono a scrivermi, quasi continuando idealmente quel legame che si era creato tra me e mio padre. Mi raccontavano le loro storie, le loro pene, l?umiliazione di essere detenuti. Io credo che l?esser detenuto cambi la vita, per sempre. Anche, e forse soprattutto, per un innocente. Mio padre era innocente. Non così credo chi lo accusò e consentì di farne scempio. Mi riferisco ai magistrati, ai giornalisti e ai cosiddetti pentiti. Avrei voluto tanto che questo carteggio così intenso tra figlia e padre e tra detenuti e giornalista potesse diventare un libro. Non è avvenuto, e non credo sia neppure interessante capire il perché.
Sono molto onorata che un giornale come ?Vita? accetti di pubblicarle. Perché conosco l?onestà intellettuale di chi ci lavora. ?Vita? non specula, anzi, offre un servizio, oserei dire sociale, passando ai lettori informazioni che altrove non trovano. Non perché non abbiano dignità, ma perché è più comodo e facile evitare alcuni argomenti. Ringrazio Riccardo Bonacina e i cari amici che mi ospitano per lo spazio e la possibilità che danno a me e soprattutto a mio padre di sopravvivere a questo Paese di ignavi. Quel che resta è l?amarezza per un Paese che dimentica presto, sia i casi Tortora che i casi di Nessuno. Ai quali va, costante e quotidiano, il mio pensiero.

Silvia mia cara,
…allora addio

Lo strano caso del signor T.
«Prima di essere accusato devo essere in colpa, e se i miei nemici fossero venti volte più numerosi, e se ciascuno di essi avesse una potenza venti volte superiore, non potrebbero farmi nulla di male, finché continuerò ad essere sincero, leale, innocente».
Shakespeare, Enrico IV atto II

[Strasburgo, 13 novembre 1985]
Silvia mia cara,
da tempo avevo in animo di lasciarti (lo so, ?lasciarti? è parola triste, comunque va usata) una mia lettera. Mi pareva indispensabile. Ci pensavo, credi, da tanto tempo. La andavo immaginando, anzi, la andavo addirittura scrivendo dentro di me. Addirittura, come per certi documenti papali (encicliche, credo) avevo in mente le prime tre parole, che avrebbero dato il via al resto. Come un trampolino, insomma. E queste parole erano: «Da molti segni». Usiamole, dunque. È la vigilia del tuo compleanno. Mi sono assicurato (come quando, da bambina, ti recitavo – male – la parte di Papà Natale) che il mio amore ti giungerà sotto forma di rose, e di una lettera che (sento) le Poste italiane hanno deciso probabilmente di umiliare, facendola giungere in ritardo. Pazienza. Non penso ad altro, in queste ore, che al tuo compleanno. Ma non giriamo attorno alle cose, non restiamo, come spesso dico, alla ?periferia? di queste cose. E dunque.
Da molti segni comprendo (l?alzarsi ogni giorno è sempre più faticoso, e l?aprire gli occhi in tanta pubblica vergogna, che vergogna per il nostro sventurato Paese) che il mio traguardo può non essere molto lontano. Forse, al contrario, è vicino. E per quanto io sia pronto, preparato (in alcuni casi, ti confesso, addirittura sollevato) sento il bisogno di lasciarti qualcosa, che di me ti dica un po? di più dell?idea, a modo suo obbligata, che noi tutti abbiamo di un padre, di un papà.
Alla fatica, immensa (davvero, sempre più pesante) di vivere, s?aggiunge oggi, una telefonata anonima che – da Palermo – avrebbero fatto al Partito Radicale. È terra di Pulcinella, di buffoni, e non gli dò il minimo credito (parlano, ovviamente, di un attentato) ma è forse anche questo, superato il disgusto (ma lo sai, Silvia mia, che io campo con una ininterrotta nausea?) che mi induce a lasciarla, almeno qui, su carta, questa forma d?abbraccio dolce, e questa chiacchierata tra me e te. Perché ti rimanga. Almeno questo. Sai quante volte, per un carattere che abbiamo – ahimè – comune, il dialogo, soprattutto perché d?amore, d?affetto profondissimo sia stato come impacciato, legato da quello che è, semplicemente, pudore. Pudore sconosciuto, in un?Italia sbracata, sempre immersa in melodrammi inutili, in vuote forme, in sceneggiate esteriori. Non le amiamo.
Se i ?segni? dunque dicono il vero, occorre ch?io ti dica, anzi, ti ripeta (dentro di te lo sai) che su questa terra lascio soprattutto te, starei per dire soltanto te. Lascio anche Gaia, che non ho avuto modo, e me ne duole immensamente, di aver avuto accanto con quel magico filo che c?è stato, invece, per te. Curalo tu, te ne prego tanto. Si vive solo così, oltre la vita. Nel ricordo di chi ci ha amato. E tu sei la sola, credo, che, soffrendo, mi ha pienamente, completamente amato. Diceva Schekespeare (ma come si scrive?) che il ricordo di chi se ne va non arriva oltre il suono, l?eco del suono della campana che una sera per lui rintocca. È amaramente vero. Se nel tuo cuore, ogni tanto, rintoccherà un ricordo, l?eco sarà più lunga, e io vivrò, anzi rivivrò, in quei momenti.
È tutto. E non me ne dispiace nemmeno. No, non ho pentimenti, credi. E so di aver agito, sempre, come ho sentito. Può darsi io abbia, agendo così, procurato sofferenza ad altri. Ma sappi che questa sofferenza è stata anche mia, e sino all?ultimo. Se avessi potuto, rinunciando ad essere ?io?, evitare questo, l?avrei fatto: ma si è quel che si è. È una condanna, che nessuna filosofia può condonare. Forse una religione. Ma non quella che qui praticano e che io non ho mai sentito mia. E dunque Silvia, il cammino, anche se tortuoso, e doloroso, è stato fatto. Consumato.
I miei libri: sono tuoi. I miei oggetti: sono tuoi. Sappilo. Le carte, ciò che di uno che se ne va resta, ed è di solito un ammasso di cose incongrue. Ti appartengono. Scriverò a zia Anna, e a Francesca. Non ci saranno, vedrai, difficoltà. Non litigherete (parola odiosa): se vi ho voluto bene, e ve ne ho voluto, non accadrà. Ed ora basta: ci siamo detti tutto, tu ed io. Sii te stessa, e non mollare. Papà non l?ha fatto mai. Ho il cuore pieno di riconoscenza per quei cari radicali che sono, credimi, la bontà in terra, in una terra dominata dalla putrefazione del male. Amali e rispettali. Qualunque sia la tua scelta, che, mi auguro, non sarà mai di stima per i gendarmi del mondo, o dell?animo, ricorda le poche cose che ho avuto il tempo e il modo di raccontarti. Meglio sola, Silvia, che tra schiavi compiaciuti di esserlo.
Se avrai un figlio, ti prego, dagli il mio nome. Non è un nome lungo: non pesa. E così, chiamandolo, chiamerai me. Abbracciandolo, abbraccerai me. Ti auguro di essere felice, anche se so che il tuo carattere non faciliterà la cosa. Ti capiterà, forse, di capirmi meglio man mano che andrai avanti nella vita. Anch?io ho capito compiutamente mio padre ?dopo?, solo ?dopo?. È la vita, mia dolce Peter Pan, mia Pallerina cara. Ora proprio basta. Non credevo che queste righe, così insoddisfacenti, e nelle quali (che imbecille!) avevo la pretesa di concentrare tutto, fossero così difficili da scrivere, e così inadeguate. Allora addio: il che significa, siine certa, restare con te. Proprio per sempre.
il tuo papà

Cronologia
17 giugno 1983 Alle 4 e un quarto del mattino Enzo Tortora viene arrestato all?Hotel Plaza di Roma. Portato in Questura Tortora attende, nonostante sia colpito da un collasso cardiaco, fino alle 11 di essere trasferito a Regina Coeli. L?accusa: associazione a delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico d?armi e di stupefacenti.

27 giugno 1983 I giudici napoletani Lucio Di Pietro e Felice Di Persia arrivano a Roma per il primo interrogatorio. Il nome di Tortora sarebbe stato fatto da due camorristi pentiti: Pasquale Barra detto ?o animale? e Giovanni Pandico. Ai quali si aggregheranno altri pentiti, come il pregiudicato Gianni Melluso o il ?pittore? Giovanni Margutti.

15 agosto 1983 Le condizioni di salute di Enzo Tortora peggiorano. Viene trasferito al carcere di Bergamo, più attrezzato clinicamente.

29 settembre 1983 A Bergamo si svolge il secondo interrogatorio di Tortora dopo tre mesi e mezzo di detenzione.

17 gennnaio 1984 Enzo Tortora lascia il carcere di Bergamo per tornare a casa sua, a Milano, agli arresti domiciliari. Dopo poco viene ricoverato in clinica.

5 maggio 1984 Tortora annuncia la sua intenzione di candidarsi nelle liste del Partito Radicale alle elezioni per il Parlamento Europeo.

17 giugno 1984 Enzo Tortora viene eletto al Parlamento Europeo. Ottiene oltre 500 mila preferenze e batte perfino Marco Pannella.

17 luglio 1984 Il Tribunale di Napoli emette l?ordinanza di rinvio a giudizio per 640 imputati, tra cui Tortora; 87 nel frattempo hanno ottenuto la libertà perché vittime di errori

4 febbraio 1984 Ha inizio a Napoli il processo di primo grado. Durerà 7 mesi, 67 udienze e una settimana di camera di consiglio. Nel frattempo Tortora frequenta regolarmente il Parlamento Europeo di Strasburgo.

17 settembre 1985 Tortora viene condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione.

10 dicembre 1985 A Strasburgo Enzo Tortora pronuncia in francese il suo discorso di addio al Parlamento Europeo.

29 dicembre 1985 Tortora si consegna alle forze dell?ordine in piazza Duomo a Milano. Viene accompagnato a casa sua dove viene messo agli arresti domiciliari.

20 maggio 1986 Comincia il processo d?appello a Napoli.

15 settembre 1986 La corte d?appello pronuncia il verdetto: Enzo Tortora assolto. Con formula piena. Dopo 1185 giorni di odissea nell?ingiustizia.

20 febbraio 1987 Tortora torna in tivù. Su Rai Due riappare con il suo Portobello. La prima frase pronunciata da Tortora dopo un lunghissimo applauso fu: «Dove eravamo rimasti?»

17 giugno 1987 La prima sezione della Corte di Cassazione conferma la sentenza di assoluzione piena emessa al termine del processo d?appello. Enzo Tortora è innocente.

18 maggio 1988 Nella sua casa di Milano Enzo Tortora muore, stroncato da un tumore a 59 anni. Poco prima di morire Tortora aveva presentato una citazione per danni contro i magistrati napoletani titolari dell?inchiesta che lo riguardava. La cifra richiesta è di 100 miliardi. Non gli è mai stato riconosciuto il diritto al risarcimento. E il Consiglio superiore della magistratura archivia il caso Tortora, non ritenendone responsabili i magistrati.

Marzo 1995 Viene aperta un?inchiesta presso la procura di Potenza sui magistrati napoletani che condussero l?inchiesta su Enzo Tortora. L?accusa: concorso in calunnia e in abuso di ufficio.

28 marzo 1998 Il giudice per le indagini preliminari di Potenza, Cinzia Apicella, archivia il procedimento che vedeva imputati di calunnia e abuso di ufficio i quattro magistrati napoletani Lucio Di Pietro, Felice Di Persia, Angelo Spirito e Giorgio Fontana, responsabili dell?incriminazione di Enzo Tortora. Tutti assolti, nessun colpevole.

Il ricordo di Enza Sampo’
Una storia alla Kafka

Io e Enzo Tortora abbiamo lavorato insieme molti anni fa, in Rai, ai tempi di ?Campanile sera?. Lui lavorava in una piazza, io in un?altra, ci contendevamo il titolo, mentre Mike Bongiorno era in studio, a Milano. Io guardavo a lui con l?umiltà dell?alunna, perché Enzo era un professionista più esperto di me, e da lui ho imparato tantissimo. L?ho sempre stimato immensamente. Anche con Mike mi trovavo bene, ma lui era un presentatore più di intrattenimento, il re del quiz, mentre Enzo stava a metà tra l?intrattenimento e il giornalismo, una caratteristica che lo accompagnò sempre e a cui io stessa mi ispiravo. Tortora insomma per me era un punto di riferimento, la figura televisiva che apprezzavo di più. Fuori dal mondo televisivo poi eravamo simili, non abbiamo mai frequentato l?ambiente dello spettacolo, e forse per questo fuori dagli studi non lo conoscevo molto bene. Ma quando scoppiò il suo caso giudiziario rimasi sconvolta. Dire che fui sorpresa mi sembra poco: ero esterrefatta. Nessuno in Rai poteva credere alle accuse, tantomeno io. Ricordo che mi misi subito in contatto con la figlia Silvia, a cui tuttora sono molto legata, per avere sue notizie. In carcere no, non gli ho mai scritto. Non ce l?ho fatta. Mi sembrava così assurdo scrivergli in carcere, era quasi impossibile per me pensare a una galera come la sua casa, il suo nuovo indirizzo. Avevo quindi aspettato che tornasse a casa. Quello che mi ha dato il segno dell?assurdità della vicenda giudiziaria di Enzo fu la testimonianza di molte figure ambigue e del tutto incredibili. Sono state rovesciate su di lui accuse così di bassa lega, e campate per aria, che mi ritrovai a pensare che se si dava credito a certi personaggi davvero non c?era limite al fango. Non c?era più niente di reale, era peggio di un romanzo di Kafka. L?ultima volta che l?ho visto è stata in aeroporto: ci siamo salutati anche con imbarazzo, perché quando capitano simili tragedie tutte le parole sembrano inadeguate. Sono situazioni che cancellano la naturalezza. Una cosa sola so: che dieci anni non hanno cambiato la situazione giudiziaria italiana. Ora soffro per Silvia, anche se da lontano, e le voglio molto bene. È una donna coraggiosa. Proprio come suo padre.

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